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Nel corso dell’Ottocento la scienza e la tecnica impressero uno sviluppo veramente impressionante alla costruzione degli strumenti musicali. In particolare il pianoforte, dopo gli eleganti prodromi settecenteschi di Bartolomeo Cristofori, ebbe un percorso evolutivo dirompente che negli anni ‘30 dell’Ottocento era in piena effervescenza e innovazione. Nuove conoscenze ingegneristiche (innumerevoli i brevetti registrati) e di fisica del suono, nuove capacità tecniche nella produzione delle corde, nuove idee estetiche portarono alcuni geniali costruttori come Pleyel ed Érard, i cui nomi rimangono ancora oggi leggendari, a elaborare nuove e sofisticate macchine sonore capaci di imporsi in ampi spazi e tali da reggere il confronto con le più agguerrite e numerose compagini orchestrali. Il pianoforte divenne protagonista del moderno recital solistico, la cui invenzione venne reclamata proprio da Franz Liszt, rivoluzionando delle consuetudini sociali di ascolto che avevano nell’Accademia strumentale e vocale, ovvero nella compresenza nella stessa serata dei più disparati interpreti, il modello performativo. Le nazioni che si contesero in quegli anni il primato nella costruzione dei pianoforti furono l’Austria, la Francia e l’Inghilterra.
In particolare Parigi divenne il campo di battaglia della competizione tra Pleyel, i cui strumenti erano apprezzati da Chopin e Rossini, e Érard, autore di strumenti più “robusti” che ben sopportavano il vigore esecutivo di Franz Liszt. Tra gli strumenti cosiddetti viennesi si imposero quelli della ditta Streicher, strumenti che Beethoven aveva definito «troppo buoni per me … perché mi rubano la libertà di produrre il mio suono». Oltre ai nuovi rinforzi metallici dello strumento, la cui struttura in legno era ormai insufficiente a reggere la tensione delle nuove corde, è nella meccanica che si giocano principalmente le innovazioni tecniche, e in particolare nell’evoluzione del cosiddetto scappamento del tasto, il meccanismo che permette al martelletto di riabbassarsi per essere pronto, il più velocemente possibile, a percuotere nuovamente la corda. Tutto era disposto per interpretare costruttivamente i nuovi orizzonti della genialità pianistica di Liszt.
Grazie ad una lettera scritta da Siena alcuni mesi dopo il concerto del Catajo all’amico Pierre Érard, figlio del fondatore dell’omonima casa di pianoforti, sappiamo che Liszt viaggiava con al seguito un pianoforte Érard che egi stesso promuoveva nei suoi concerti. In occasione del concerto del Catajo il duca di Modena si fece lasciare in prova il pianoforte di Liszt: questo aneddoto, oltre a raccontarci qualcosa in più della quotidiana vita di una “pellegrino” del pianoforte, ci spiega anche perché Liszt a Bologna, non avendo a disposizione un pianoforte Érard per le due accademie alle quali partecipò, scelse di utilizzare un pianoforte Streicher prestatogli dal principe Filippo Hercolani piuttosto che il Pleyel di Sampieri o di Rossini, strumenti della casa concorrente a quella di Érard. E Rossini, in Italia, era promotore degli strumenti di Pleyel…