Mentre Liszt si trovava a Bologna, a Parigi stava per essere presentata una scoperta che avrebbe cambiato il mondo: il 6 gennaio 1839 infatti Louis Daguerre avrebbe annunciato dalle pagine della Gazette de France la scoperta di una tecnica per dipingere con la luce. La scoperta della tecnica, nelle parole del suo inventore, avrebbe dovuto avere principalmente una funzione documentaria, visto che i lunghi tempi di posa non permettevano ancora di fissare ritratti di persone sufficientemente nitidi. In una immagine presa da Daguerre nella primavera del 1838 del parigino boulevard du Temple, si nota – in un panorama urbano reso inquietante dall’assenza di esseri umani – la sagoma di una persona in piedi con una gamba appoggiata su di un supporto non identificabile: si tratta di un uomo che si sta facendo lucidare gli stivali da un lustrascarpe, rimasto dunque fermo abbastanza a lungo da impressionare il supporto dagherrotipico, contrariamente al traffico stradale e a tutti i numerosi passanti che affollavano in quel momento il boulevard, le cui immagini non sono rimaste sul supporto perché in movimento.
Al 1839 risale anche il più antico ritratto su dagherrotipo conosciuto, l’autoritratto dell’americano Robert Cornelius. Nel giro di poco tempo l’evoluzione della tecnica avrebbe permesso il successo della ritrattistica fotografica, prima su dagherrotipo, poi su carta salata per giungere infine alla metà degli anni Cinquanta alla stampa su carta albuminata o al carbone grazie alla tecnica del collodio. Nel 1838 però la grande stagione del ritratto litografico era ancora all’apice del suo splendore grazie ad artisti come Josef Kriehuber o Friedrich Lieder.
Fatti salvi Gioachino Rossini e la sua compagna Olimpia Pélissier, ci è rimasta qualche testimonianza iconografica solo di poche personalità citate nelle lettere di Liszt da Bologna. Abbiamo alcuni ritratti del marchese Francesco Sampieri ma non conosciamo, per esempio, le fattezze della moglie, Anna de Gregorio (Siviglia 1802-Bologna 1884), la “spagnola coi baffi”, come la descrive Liszt, o “la Sampireina”, come veniva chiamata a Bologna. Ugualmente non conosciamo ritratti del pianista tedesco naturalizzato scozzese Robert Müller che frequentò Liszt durante il suo soggiorno bolognese, del principe Filippo Hercolani e della moglie Teresa Angelelli. Abbiamo però un bel ritratto litografico del marchese Massimiliano Angelelli, – grecista, dilettante di musica e accademico filarmonico suocero del principe Filippo – e un tardo ritratto fotografico di uno dei più incredibili ed amati personaggi della Bologna dell’epoca, la principessa Donna Maria Hercolani conosciuta da tutti i bolognesi come “Donna Marì“. Molto vicina a Gioachino Rossini, Donna Marì era una grande appassionata di musica e, anche se non citata da Liszt, dovette quasi certamente essere presente la sera in cui il musicista ungherese venne ospitato nel palazzo di Strada Maggiore, dimora della nobildonna e del principe Filippo.
Nella galleria di immagini di questa pagina si è cercato di ricostruire un ipotetico parterre dei due concerti bolognesi di Liszt sia attraverso le liste degli iscritti alla Società del Casino dei Nobili – il club che aveva tra le sue fila gli esponenti più significativi delle élites culturali, politiche ed economiche della Bologna dell’epoca –, sia attraverso le relazioni che legavano Rossini e Sampieri all’ambiente musicale della città. Di questi personaggi si può naturalmente solo ipotizzare che abbiano ascoltato o conosciuto il geniale pianista. Di alcuni di loro abbiamo ritratti fotografici posteriori alla data del 1838, giunti sino a noi grazie ad uno dei più diffusi formati fotografici in uso all’epoca, il carte de visite inventato nel 1854 dal fotografo parigino André Adolphe Eugène Disdéri (1819-1889). Si tratta di cartoncini del formato di circa 5,4 per 8,9 centimetri utilizzati come biglietti da visita (da cui il nome), una moda che si sarebbe imposta a Bologna solo nel corso degli anni Sessanta del secolo al momento dell’annessione al Regno d’Italia, a causa delle precedenti restrizioni all’uso della fotografia imposte dalla censura dello Stato della Chiesa. Molte di queste cartes de visite portano il marchio della ditta del fotografo francese Emilio Anriot.
(D.T.)